[…]Frattanto lei s’è buttato sull’immagine.

«Una scelta in linea coi miei trascorsi. Mi sono diplomato infatti all’Istituto d’Arte, poi ho fatto 5 anni di architettura, ma andavo molto a rilento con gli esami perché la macchina della musica era partita e dedicavo così allo studio molto meno tempo del dovuto. Quando arrivò il contratto discografico aprii la finestra e buttai il libretto universitario direttamente nel cassonetto sotto casa. Preso dai sensi di colpa, però, andai subito a recuperarlo».

Rimpianti?

«No, perché penso che per me l’architettura sarebbe stato un destino forzato. Al tempo il mio pensiero, infatti, era: cosa combinerò mai ad Arezzo come architetto? Non diventerò di sicuro un Wright o un Le Corbusier e nella migliore delle ipotesi di- segnerò case a schiera, meglio quindi cantare. Insomma, la mu- sica mi ha salvato la vita»[…]

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